Lo Statuto dei Lavoratori compie cinquant’anni, e li dimostra

Cinquanta anni fa, il 20 maggio del 1970, il Parlamento italiano, con coraggiosa decisione riformista approvava la legge 300 denominata Statuto dei lavoratori,  egge che prevedeva i fondamentali diritti dei lavoratori. In quella occasione il Partito Comunista si asteneva. Anni , quelli, di forte conflitto sociale: nel 68 era esplosa la lotta di classe e la sua massima estensione si ebbe nell’autunno del 69. Le rivendicazioni non si limitavano al terreno puramente economico dei lavoratori, ma in contestazione era il sistema capitalistico e gli assetti politici dominanti. Perché si arriva allo Statuto?

Non appare semplice dare una risposta se non si conosce com’era Il mondo del lavoro o l’ambiente lavorativo: basta citare il pericolo di licenziamento per chi faceva attività sindacale oppure ricordare i luoghi di lavoro dove era proibito parlare di politica … una realtà  in contrasto con lo spirito e l’essenza della Costituzione.  giusto affermare che non si era in lotta per garantire “una retribuzione” quale corrispettivo del lavoro prestato, ma per ottenere la garanzia effettiva – per il lavoratore e la sua famiglia – di poter condurre un’esistenza libera e dignitosa: in gioco era il contrapporre alla situazione in atto di soggezione una serie di princìpi e di regole per la difesa, lo sviluppo e la partecipazione nella società di ogni singolo lavoratore. In altri termini si prende coscienza “proletaria” della scelta del Costituente il quale aveva posto – all’atto della formulazione della Costituzione Italiana – “il lavoro” a fondamento della Repubblica: l’art.1 Cost. “la Repubblica è fondata sul lavoro” si presenta come solenne formula costitutiva dello Stato non suscettibile di revisione costituzionale. Se è  cosi allora  è ancor meglio  affermare che cinquanta anni fa la Costituzione italiana  finalmente “ entra” nel mondo del lavoro  divenendo concretamente la regola “fondante” tra lavoratori e datori di lavoro all’interno dei cancelli delle fabbriche  e che la “legge 300” ha indicato precise risposte e affidabili soluzioni ai problemi riguardanti la questione sociale.

Tuttavia non tralasciamo l’evolversi dei tempi, della società e del mondo che ci sta attorno: da allora cinquant’anni sono trascorsi e lo Statuto dimostra la sua età. Il che significa l’avvio di una riflessione sull’attualità dell’impostazione statutaria e sul possibile aggiornamento e aggiustamenti in conformità alle esigenze sopravvenute. Chiediamoci allora se l’attuale classe politica ha quella sensibilità del tutto diversa dai vecchi paradigmi e dal mondo politico conservatore e retrivo? E le organizzazioni sindacali rimangono ancora ancorate alle sole problematiche riguardanti il pensionamento e trascurano il loro storico ruolo di soggetto politico? Sono idee e programmi che devono avere come punto di orientamento fondamentale sia le regole costituzionali come avvenne nel 1970 sia il convincimento che non può esserci una politica moderna e lungimirante per il lavoro se non all’interno di un ripensamento del modello di sviluppo  che vogliamo costruire. Bisognerà, dunque, assicurare il rilancio dell’economia del Paese e favorire lo sviluppo delle attività imprenditoriali garantendo al tempo stesso l’uguaglianza, la pari dignità sociale, i diritti soggettivi di chi – appunto – col lavoro impegna la sua stessa persona e la sua vita.

Sarà questo il modo migliore per celebrare lo Statuto, cogliendone l’alta idea di socialità e di sviluppo.