Troppi tumori. Negli ultimi due anni si è assistito a un notevole incremento di casi: +14.100 le nuove diagnosi tra il 2020 e il 2022. Secondo alcuni esperti l’aumento è riconducibile agli stili di vita scorretti e all’interruzione degli screening oncologici durante il periodo pandemico. Tuttavia i numeri allarmanti richiederebbero indagini molto più approfondite, indagini che dovrebbero riguardare -come ha sottolineato la Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSi) nel comunicato 4 del 27 dicembre scorso- anche la recente tendenza dell’eccesso di mortalità generale per tutte le patologie: ci si ammala e si muore sempre di più. A finire sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori i vaccini anti-Covid a mRNA: le indagini epidemiologiche sui dati Eurostat, condotte dagli scienziati inglesi tra aprile e agosto 2022 rivelano, secondo la CMSi, “tendenze sfavorevoli tra livelli di vaccinazione dei vari Paesi e mortalità totale, anche per l’associazione con i livelli di copertura con booster”. Tali evidenze non possono più essere ignorate, in considerazione del fatto che, in Italia, sono diventate un’ossessione le punture perenni, in pratica la loro metamorfosi in dogma.
Abbiamo fatto il punto sulla crescita dei tumori con la dottoressa Patrizia Gentilini. Medico, specializzata in Oncologia a Genova e in Ematologia Generale a Ferrara, ha conseguito l’idoneità a Primario in Oncologia e completato il corso biennale di perfezionamento in Medicina per i Paesi in via di sviluppo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Da sempre operativa presso l’Unità Operativa di Oncologia di Forlì, si è occupata sia di diagnosi precoce, sia di terapia e assistenza a pazienti con neoplasie solide ed ematologiche, per 12 anni nel ruolo di Responsabile Modulo Onco-Ematologia. Divulgatrice scientifica (cura un blog per Il Fatto Quotidiano), da oltre 20 anni ha come interesse prioritario la “Prevenzione Primaria” ed è componente della Fondazione Allineare Sanità & Salute e della CMSi.
Dottoressa, le fonti ufficiali segnalano un aumento dei tumori tra il 2020 e il 2022, cioè nel periodo pandemico. Qual è l’entità di questo aumento?
“L’ISS ha di recente pubblicato un comunicato in cui stima che nel 2022 vi siano stati 390.700 nuovi casi di cancro, circa 14 mila in più in 2 anni. Va precisato che si tratta di proiezioni, basate su statistiche degli anni precedenti fornite dai Registri Tumori. I Registri Tumori sono strutture deputate alla raccolta e registrazione di tutti i tumori che insorgono in un determinato territorio, garantendo che la registrazione avvenga in modo rigoroso, con adeguata conferma istologica. Tuttavia solo il 70% circa della popolazione italiana è coperta da questo servizio e purtroppo la banca dati non è aggiornata, come risulta dal sito. È quindi molto difficile valutare in modo adeguato l’entità di questo aumento, ma ormai un uomo su due ed una donna su tre sono destinati a contrarre un cancro nel corso della vita (dalla nascita a 84 anni) e, soprattutto, queste patologie interessano sempre più anche bambini e adolescenti. Non dimentichiamo poi che il cancro è la seconda causa di morte in Italia, dopo le malattie cardiovascolari, rappresentando il 29% di tutti i decessi”.
Quali sono, in generale, i tumori più diffusi? La loro crescita negli ultimi due anni ha riguardato anche i tumori rari? In quale fascia della popolazione si è registrato l’aumento più significativo?
“Considerando complessivamente tutte le età ed entrambi i sessi i tumori più frequentemente diagnosticati sono il carcinoma della mammella seguito dal colon-retto, polmone, prostata e vescica. L’incidenza dei diversi tumori è ovviamente diversa fra maschi e femmine ed anche nelle varie età: ad esempio fra i 20 e i 44 anni, nei maschi i tumori più frequenti sono in ordine decrescente il tumore del testicolo, i linfomi non-Hodgkin e il melanoma (9,7%). Nelle donne di pari età i tumori più frequenti sono quello della mammella, tiroide e melanoma. Vi sono poi tumori in aumento come quello al pancreas e i melanomi ed altri invece in diminuzione ormai da decenni come il cancro allo stomaco. Per quanto riguarda le altre domande non sono purtroppo disponibili dati affidabili e aggiornati che mi permettano di rispondere in modo adeguato”.
Secondo alcuni esperti il fenomeno va ricondotto agli “stili di vita”: il lockdown e la sedentarietà forzata a causa delle misure restrittive possono aver influito in maniera così determinante?
“Gli stili di vita sono indubbiamente importanti come fattori di rischio per l’insorgenza del cancro -basti pensare al fumo di sigaretta- ma da sempre penso che si sia enfatizzato troppo il loro peso a discapito di quelle che sono le cause ambientali del cancro, cui si attribuisce dallo 0% al 2% rispettivamente nel Regno Unito e negli USA, secondo quanto pubblicato anche nell’ultimo Report “I numeri del cancro in Italia”. Nel lontano 2012, proprio per approfondire la relazione collaborai alla pubblicazione del testo “Ambiente e Tumori”, nato sotto l’egida dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e tutt’oggi disponibile a questo link. Alle conoscenze di oltre 10 anni fa in questi anni molte altre se ne sono aggiunte, basti pensare a quanto emerso dai rapporti dello studio SENTIERI sulle aree particolarmente inquinate del nostro Paese: in 23 SIN coperti da Registri Tumori l’incidenza di cancro è stata superiore del 9% negli uomini e del 7% nelle donne, rispetto a quella osservata nelle rispettive Regioni. Si conferma cioè che vivere in un’area inquinata rappresenta un fattore di rischio assolutamente non trascurabile. Del tutto recentemente le suddette considerazioni hanno trovato ampia conferma in questo studio. Si tratta di uno studio dettagliato senza precedenti su scala nazionale, in cui sono stati analizzati i legami tra mortalità per cancro, fattori socio-economici e fonti di inquinamento ambientale nel nostro Paese, sia su scala regionale che provinciale, con un approccio di intelligenza artificiale. Nel complesso, si è scoperto che la mortalità per cancro non ha una distribuzione casuale o spaziale e supera la media nazionale là dove l’inquinamento ambientale è più elevato, nonostante le abitudini di vita più sane. Per quanto riguarda la seconda parte della sua domanda la mancanza di attività fisica, le reclusioni forzate hanno certamente rappresentato un problema per il nostro benessere psico fisico e per la salute in generale facendoci aumentare ad esempio di peso o mangiare in modo sconsiderato, ma non credo che possano essere considerati fattori causali nell’insorgenza di cancro, se non attraverso un meccanismo indiretto di abbassamento delle difese immunitarie legato allo stress provocato dalle restrizioni, ma sinceramente non penso che possa aver riguardato un numero consistente di casi, e vi sono purtroppo altri interventi che sono stati ampiamente praticati che possono avere esercitato un ruolo causale di maggior rilievo”.
Durante il lockdown si è trascurata anche la prevenzione: quanti screening sono stati annullati o posticipati? E quanti interventi chirurgici oncologici sono stati rinviati?
“Credo che anche qui vada fatta chiarezza perché si confonde la “prevenzione” del cancro con la sua “diagnosi precoce”, consentita dagli screening. Con gli screening -ovvero col sottoporre persone asintomatiche ad esami od indagini più o meno invasivi per individuare tumori in fase iniziale- si anticipa semplicemente la loro scoperta, ma non si impedisce alla malattia di insorgere. Il termine “prevenzione” andrebbe riservato alla “Prevenzione Primaria”, quella finalizzata a ridurre il rischio di insorgenza della malattia agendo sulle sue cause, quindi non solo sugli stili di vita, ma soprattutto sulle cause ambientali, ovvero sulla qualità dell’aria, dell’acqua, del cibo, etc. Non dimentichiamo che sono centinaia le sostanze tossiche, persistenti, cancerogene (diossine, metalli pesanti, pesticidi, idrocarburi policiclici, benzene etc.) che in conseguenza dell’inquinamento -cui tutti indistintamente siamo più o meno esposti- si accumulano nei nostri tessuti, circolano nel nostro sangue, possono alterare le cellule germinali e passare anche dalla madre al feto condizionandone lo sviluppo. Questo fenomeno va sotto il nome di “cancerogenesi transgenerazionale” e fu particolarmente studiato da Lorenzo Tomatis, poi Direttore della IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro). La cancerogenesi transplacentare può anche, almeno in parte, spiegare la comparsa di cancro in giovani e bambini che certo non fumano e non bevono alcolici, ma che, ancor prima di nascere, sono esposti ad agenti nocivi. Ho sempre sostenuto che il cancro che guarisce nel 100% dei casi è quello che non insorge e che molte più risorse dovrebbero essere investite su questo versante. Purtroppo nulla o quasi si è fatto sul fronte della “Prevenzione Primaria” che, come amava ripetere Lorenzo Tomatis, mio indimenticabile Maestro: “Tutela la salute e protegge il ricco come il povero, ma non porta onori, fama o denari ed è purtroppo negletta ai governi ed alle Istituzioni”. Per concludere credo non vi sia dubbio che soprattutto rimandare, anche di diversi mesi come è accaduto, la rimozione di tumori solidi possa aver aggravato la prognosi, facendoli passare da uno stadio iniziale ad uno più avanzato”.
Sono aumentati anche i casi di tumori “riattivati” e/o di tumori a rapidissima crescita?
“Questa domanda fa riferimento a quanto abbastanza di recente sta comparendo in letteratura e viene riportato anche dall’esperienza clinica di tanti colleghi, ovvero che da quando sono iniziate le somministrazioni dei vaccini a mRna contro SARS-CoV-2 si assiste a rapide riprese di tumori prima sotto controllo o alla insorgenza di forme tumorali anche molto aggressive. Ad esempio in questo lavoro vengono descritti due casi di linfomi Non Hodgkin aggressivi, insorti in modo tumultuoso a distanza di pochissimo tempo dalla somministrazione di vaccini a mRNA. In quest’altro lavoro viene descritta la rapida progressione di un linfoma a cellule T documentata da una PET eseguita prima della somministrazione del booster con BNT162b2 e dopo una settimana, come ben documentato nell’immagine pubblicata nello studio. A parte questi casi clinici, grande è l’interesse per comprendere i possibili meccanismi alla base dell’effetto oncogeno di queste sostanze ma innanzi tutto va ricordato che questi prodotti non sono stati testati né per genotossicità, né per cancerogenicità e quindi nulla sappiamo dei loro effetti a lungo termine. Inoltre l’utilizzo di vaccini a mRNA nel contesto delle malattie infettive non ha precedenti e molte sono ancora le incognite al riguardo, visto che non è chiaro da quali cellule dell’organismo, dopo l’inoculo, venga prodotta la proteina Spike, quanta se ne produca, per quanto tempo e dove si distribuisca. Secondo i produttori, all’interno dell’organismo la Spike vaccinale verrebbe degradata dopo pochi giorni, da 4 a 9, viceversa essa è stata ritrovata a distanza anche di mesi in organi lontani dal sito di inoculo; trattandosi di una proteina tossica è plausibile che molti degli effetti avversi che si riscontrano siano ascrivibili alla sua anomala persistenza. Di fatto ormai è accertato che la proteina Spike indotta dal vaccino ha un’azione pro-infiammatoria e può interagire con complesse funzioni biologiche dell’organismo, in particolare interferendo con la produzione di citochine, sostanze modulatrici del sistema immunitario. In particolare sarebbe alterata la sorveglianza immunitaria nei confronti delle cellule tumorali a seguito della diminuita produzione di interferone, ma si avrebbe anche un’esagerata produzione di un fattore di crescita (TGFbeta), sostanza in grado di indurre in cellule già differenziate una “regressione” verso lo stato mesenchimale (stato proprio delle prime fasi della vita embrionale), con capacità di metastatizzazione e maggiore aggressività biologica”.
La tecnologia a mRNA non era mai stata sperimentata in ambito vaccinale, prima d’ora. E in ambito oncologico? Se sì, con quali risultati?
“La tecnologia a mRNA oggi utilizzata nei “vaccini” contro SARS-CoV-2 non era mai stata utilizzata per contrastare una malattia infettiva, né tanto meno su popolazione sana di ogni classe di età, addirittura questi “pro-farmaci” -come correttamente li chiama il Prof. Cosentino- sono stati autorizzati a partire dai 6 mesi anche se ben sappiamo che COVID-19 non ha mai rappresentato un problema né nell’età pediatrica, né nei giovani. Su questo invito a leggere quanto si trova sul sito della CMSi. I “vaccini” a mRNA sono nati per trovare una cura contro il cancro e questa tecnologia ha oltre vent’anni di ricerca alle spalle. Purtroppo il sogno dei ricercatori di ottenere un’arma efficace contro il cancro ad oggi non ha avuto alcun successo e l’aver trasferito l’utilizzo di questa tecnologia -inefficace per ciò per cui era sorta ed i cui effetti a medio/lungo termine non erano stati minimamente indagati- per contrastare una malattia infettiva, utilizzandola in modo massiccio ed indiscriminato su popolazione sana, è qualcosa di inaudito nella Storia della Medicina e lasci che le dica che mi sembra un pura follia, un azzardo di cui solo nel tempo vedremo tutte le conseguenze. Del resto Kathrin Jansen, responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, e recentemente andata in pensione ha rilasciato un’intervista su Nature in cui letteralmente afferma: «Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo». Queste sono state alcune delle affermazioni di Jansen, quindi ogni regola, controllo, prudenza è saltata e i risultati li vediamo, considerate anche solo le difformità riscontrate nei vari lotti”.
In linea generale all’industria farmaceutica frutta di più un farmaco anticancro oppure un vaccino a mRNA?
“Se lei pensa che per definizione un vaccino dovrebbe essere somministrato a persone sane ed un farmaco solo a chi è ammalato, capisce bene che il bacino di popolazione è molto più ampio nel primo caso. Penso tuttavia che l’interesse di Big Pharma sia su entrambi i fronti e se poi il “vaccino” indebolisce il sistema immunitario e quindi rende più fragile e ammalata la popolazione direi che il cerchio si chiude! Creda non sto esagerando, purtroppo la Medicina ha preso da decenni una china molto pericolosa ed invece di investire sul mantenimento della salute preservando innanzi tutto la qualità dell’ambiente e le risorse personali (pensiamo ad esempio all’importanza del microbiota nel preservare il nostro stato fisico e psichico) assistiamo al fenomeno del “disease mongering”, ovvero “fabbricare malattie”. Nel 1976 Henry Gadsden, presidente di un gruppo farmaceutico americano, dichiarò che la nuova frontiera del suo settore industriale sarebbe stata “produrre farmaci per persone sane, perché questo ci permetterà di vendere a chiunque, così come si vendono chewing gum”. Direi che l’obiettivo lo stanno purtroppo raggiungendo alla grande”.
Numerosi studi sostengono la tossicità della proteina Spike, prodotta anche dai vaccini: c’è differenza tra la Spike vaccinale e quella del virus?
“Direi che non vi è alcun dubbio che anche la proteina Spike prodotta dai vaccini sia tossica ed anzi lo è –come vedremo- ancor più di quella naturale, da cui differisce per la presenza di un aminoacido ripetuto due volte in successione (doppia Prolina o P-P) e che determina quella che in gergo si chiama una “sequenza cerniera”, rappresentata da un dodecapeptide (12 aminoacidi, tra cui la doppia Prolina). Questa sequenza particolare non esiste in natura e rende la Spike vaccinale più persistente ed aggressiva rispetto a quella naturale, è una specie di “marchio di fabbrica” che permette di distinguere le due Spike; di questi aspetti si è occupato in particolare il dott. Mauro Mantovani di Milano che con una strumentazione di spettroscopia di massa può identificarle e distinguerle”.
In quali organi si deposita la Spike vaccinale e per quanto tempo? Il sistema immunitario è in grado di contrastarla e neutralizzarla?
“La Spike vaccinale è stata ritrovata, variamente espressa, nelle biopsie del miocardio di 15 soggetti con ridotta funzionalità cardiaca e sospetta miocardite dopo vaccinazione. Da pochi giorni sulla prestigiosa rivista Circulation è stato pubblicato un lavoro che per la prima volta ha trovato la proteina Spike prodotta dal vaccino nel sangue di adolescenti colpiti da miocardite. La proteina Spike è presente nel sangue, con frequenza molto più alta che nei soggetti inoculati ma senza miocardite, fino ad almeno tre settimane dopo l’inoculo delle particelle con mRNA. Nei pochissimi studi condotti su animali per valutare la distribuzione della Spike vaccinale è emerso che si distribuisce in tutti i distretti dell’organismo: dal fegato all’encefalo, dalla milza alle ghiandole surrenali, nonché alle gonadi (testicolo/ovaio) e i disturbi mestruali che così frequentemente insorgono dopo gli inoculi potrebbero trovare in questo una ragionevole spiegazione. Certamente ancora molto resta da capire e molto si dovrebbe indagare come ben ricordato in questo articolo del Prof. Cosentino”.
È presente la farmacovigilanza attiva, per monitorare l’eventuale insorgenza futura di tumori nei vaccinati?
“No, purtroppo la farmacovigilanza attiva non è presente né in Italia, né purtroppo nella maggior parte degli altri Paesi. Negli USA esiste il sistema V-Safe di sorveglianza attiva che copre solo una parte della popolazione, ma che comunque fornisce risultati di grande rilievo. Basti pensare che per quanto riguarda gli effetti di notevole impatto sulla salute (definiti “severi”) ne sono riportati 21.000 ogni 100.000 dosi secondo V-Safe e solo 18, sempre ogni 100.000 dosi da AIFA! Su questo invito a prendere visione dei puntuali documenti pubblicati dalla CMSi sul sito”.
Negli ultimi tre anni ricercatori e medici “dissidenti” sono stati attaccati aspramente, spesso censurati e condannati: come spiega il divieto di affrontare certe tematiche sul piano scientifico?
“Sì, posso testimoniare in prima persona che quanto successo in questi quasi 3 anni ha dell’inaudito. Io stessa ho ricevuto, anche da colleghi con cui avevo un rapporto di stima ed amicizia, pesantissimi “apprezzamenti” sui social ogni qualvolta diffondevo, sulla base della letteratura disponibile, informazioni dissonanti da quanto andava per la maggiore ed è stato sempre sistematicamente impedito un confronto pacato e paritario fra le diverse posizioni. Questo dovrebbe fare molto pensare e mi chiedo perché il dialogo sia stato regolarmente negato, trovando molto più accettabile semplificare ogni questione affibbiandoci etichette (da no-vax a terrapiattisti) e di fatto tappandoci la bocca. Proprio per questo, ovvero per mantenere aperta la possibilità di dialogo e confronto si è dato vita alla Commissione Medico Scientifica Indipendente che fin dall’inizio -si pensi al convegno “ Pandemia invito al confronto” del gennaio 2022 a Roma- ha portato e continua a portare avanti queste istanze. Poche settimane fa, ad esempio, è stato inviato a tutti i parlamentari e al Governo l’ultimo comunicato stampa che riporta un’accurata analisi dei dati ufficiali pubblicati dall’ISS. Vorrei anche ricordare quanto successo nel novembre scorso a Torino per POLICOVID 2022, un importante Convegno che in 5 giorni si proponeva di affrontare tutti gli aspetti legati alla pandemia da COVID-19 e purtroppo boicottato all’ultimo momento dalle Istituzioni che pure avevano accettato di partecipare come ben spiegato dalla giornalista Martina Pastorelli che faceva parte del Comitato Organizzatore. Quello che ho trovato fin dal primo momento paradossale è stato il fatto che la negazione del confronto si è fondata su una fideistica visione della scienza, diventata qualcosa in cui credere a prescindere da qualunque considerazione. Ancora devo capire come è stato possibile cancellare secoli di pensiero scientifico che invece ha come sua caratteristica il dubbio e il confronto. Un’ultima considerazione che vorrei fare a questo proposito ed è forse l’aspetto più inquietante, è che tale atteggiamento di chiusura e censura non si è registrato solo nel nostro Paese, ma a livello planetario per cui decine e decine di medici e ricercatori, ai vertici della ricerca scientifica sono stati silenziati ed ostacolati in tutti i modi, finanche danneggiati nella loro carriera scientifica. Questo argomento è stato oggetto di un recente lavoro il cui scopo è stato esplorare le esperienze e le risposte di medici e ricercatori altamente qualificati provenienti da diversi Paesi che sono stati bersaglio di soppressione e/o censura in seguito alle loro pubblicazioni e dichiarazioni in relazione a COVID-19, sfidando le opinioni ufficiali. Dallo studio è emerso il ruolo centrale svolto dai media e, in particolare, dalle società di tecnologia dell’informazione nel soffocare il dibattito sulla politica e le misure adottate contro COVID-19. Nel tentativo di mettere a tacere le voci alternative è stato fatto ampio uso non solo della censura, ma di tattiche di repressione che hanno danneggiato la reputazione e le carriere di medici e scienziati dissenzienti, indipendentemente dal loro status accademico o medico e indipendentemente dalla loro statura prima di esprimere una posizione contraria. Purtroppo la censura di ogni voce dissonante, anche se autorevole, che si è registrata nel corso della pandemia è qualcosa di inaudito che non ha giovato alla scienza, né tanto meno alla salute; come scritto nell’articolo, infatti: “La censura di opinioni e punti di vista opposti o alternativi può essere dannosa per il pubblico, soprattutto durante situazioni di crisi come le epidemie, che sono caratterizzate da grandi incertezze, poiché può portare a perdita di importanti punti di vista, informazioni e prove scientifiche”.
Ma cosa si può dire oggi sull’origine di questo virus? C’entra lo “zampino” umano, ovvero si tratta di un virus ingegnerizzato?
“Su questo c’è stato un grande dibattito ma direi che oggi la questione si è definitivamente chiarita, nel senso che lo “zampino “dell’uomo c’entra eccome! Tutto questo è spiegato molto chiaramente in questo articolo, che arriva a dimostrare come vi è stata, al di là di ogni ragionevole dubbio, una “manipolazione del virus”. Nel genoma del SARS-CoV-2 è infatti presente una sequenza di 12 nucleotidi che è risultata essere stata brevettata negli USA il 4 febbraio 2016 (SEQ ID11652, numero di brevetto: US-9587003), nel corso di studi per la ricerca contro il cancro. Esaminando tale sequenza, i ricercatori hanno constatato che l’omologia si estende fino a 19 nucleotidi (5′-CTACGTGCCCGCCGAGGAG-3′) e tramite un’analisi biostatistica si è stimato che la probabilità che una sequenza di 19 nucleotidi allineati compaia casualmente in un genoma virale di 30.000 nucleotidi (come quello del SARS-CoV-2) sia di 1 su 321 miliardi. Significativo anche il fatto che la sequenza in questione, implicata nella sintesi della proteina Spike, conferisce particolari caratteristiche in quanto è stata in grado di aumentare l’infettività del SARS-CoV-2, è vitale per la trasmissione del SARS-CoV-2 nell’uomo e nel furetto, espande il tropismo virale nelle cellule umane ed è il prerequisito per la forma grave della patologia nei modelli animali. Dire che stiamo giocando col fuoco è il minimo: il fatto è che ci stiamo anche bruciando!”.
Foto, l’oncologa ed ematologa Patrizia Gentilini