In un’epoca come quella moderna, connotata da una sovra-produzione opulente in ogni ambito industriale e creativo, e tra essi anche quello musicale, appare piuttosto arduo indicare un artista vivo che riesca davvero a riscaldare unanimemente i cuori dei più differenti amanti della musica. C’è chi sostiene che la musica odierna non sia degna di essere considerata arte: il messaggio che si vuole dare non arriva o viene considerato scialbo per lo spirito dell’ascoltatore; le parole perdono il loro valore e la loro concatenazione avviene in maniera del tutto arbitraria. Aveva ragione Goethe quando disse che «la bellezza è negli occhi di chi guarda»; la bellezza è anche nelle orecchie di chi ascolta. Per cui un determinato genere musicale viene ricondotto a una determinata audience. La trap, un genere che si sta diffondendo sempre di più, si associa, di norma, ai più giovani. La musica classica è gradita piuttosto a un adulto che a un adolescente. La techno è ideale per gli amanti del ritmo più che della musicalità. Eppure, in questo scenario di iper-produttività emerge un artista che non fa distinzioni d’età: Andrea Laszlo de Simone.
Vincitore del premio César per la colonna sonora del film Il Regno Animale, l’artista è impegnato professionalmente sia nell’ambito cinematografico, sia in quello della produzione musicale. Nelle sue canzoni, ricorrono spesso parole che esprimono concetti metafisici e valori fondamentali per tutti noi: vita, amore, cuore, mente, spazio, tempo. Ma la vera forza dei suoi testi sta nel fatto che, seppur la cernita delle parole scelte sia semplice e comprensibili ai più, questo non significa ridurre l’opera stessa a una banalità, anzi. Essa punta diritta al cuore e all’animo, e in tal modo a risvegliare quell’eros che, forse, da molto tempo, è rimasto inerme. I testi, poetici, sono ricchi di metafore, di dualismi, di simbolismi. Rifacendoci alle parole di Alberto Asor Rosa, i grandi artisti sono coloro che «dicono ciò che tutti sappiamo, ma solo in questo modo poteva essere detto». Infatti, tutti noi abbiamo ben impresse le nozioni di amore, vita e spazio, ma sono nozioni che possono voler dire tutto e niente; Pensando a queste eloquenti parole potremmo discuterne in lungo e in largo: ma quale grande caos ne conseguirebbe se dovessimo descriverle con pochi e concisi termini? E scrive ancora Rosa: «Siccome l’”essere in sé”, cioè l’origine, si presenta come un caso e un indistinto, il grande classico (e il grande artista, nda) trovano le “parole”, cioè la “forma comunicabile per dire” questo stato di caos».
Di altrettanta maestevole grazia è la musicalità delle sue opere. I più diversi strumenti utilizzati, nonché i cori a voce, si congiungono in una perfetta armonia: dal pianoforte al contrabasso, dalla chitarra all’oboe, dalla batteria al violino. Un’orchestra che assegna a ogni strumento un’imprescindibile importanza, in cui ciascun di essi ha una voce e mai appare stridula o stonata. Vivo, la canzone in stile ballata, ne rappresenta l’immagine più ideale, più concreta e tangibile. E, per tornare al discorso iniziale, chiunque, a prescindere dall’età o dai gusti personali, potrebbe compiacersi nell’ascoltarla, potrebbe trarre piacere nell’udirla, potrebbe vivere (o rivivere) dopo averla scoperta.
Un musicista e poeta in grado di toccarci i cuori, di farci ancora emozionare, è Fabrizio de André. Defunto ormai da anni, egli riuscì a coinvolgerci tutti emotivamente con le sue canzoni e ballate. E nonostante siano passati venticinque anni, de André vive e rivive tramite le sue opere, la sua musica, la sua poesia. Non è dunque azzardato sostenere che è uno, se non proprio il grande artista italiano che, più di ogni altro, ci unisce tutti. Ora, dopo anni che l’Italia non ha più conosciuto artisti di tale spessore, è arrivato il tempo di cambiamento, di novità. Di una novità leggiadra che, ne sono sicuro, lascerà un brivido in chi l’ascolta e un’impronta indelebile nella storia della musica italiana.
Grazie Andrea per rifarci vivere nuove emozioni e per trasportarci nel tuo mondo; che poi, è anche il mondo di tutti, in cui ci ritroviamo.
Foto, Andrea Laszlo de Simone/c-Miseria Nera