ESCLUSIVO. Elettromagnetismo e nuovi limiti. Il biofisico Giuliani: “Rischi per la salute, le Province Autonome possono intervenire”

Il 29 aprile scorso sono entrate in vigore le nuove norme che consentono di innalzare il limite delle emissioni elettromagnetiche delle antenne per telefonia mobile: si è passati da 6V/m a 15V/m. La questione, dibattuta da 25 anni, era stata affrontata dal nostro giornale esattamente un anno fa, quando già ci fu un tentativo -poi naufragato- di aumentare i limiti. Secondo il governo, tale provvedimento migliorerà la copertura e la velocità delle reti, senza arrecare danni alla salute. Si tratterebbe addirittura di un’opportunità per l’economia italiana. Ma è veramente così? Chi trae davvero vantaggio da questa operazione e quali sono i rischi potenziali per la nostra salute? Siamo ritornati sulla tematica con il professor Livio Giuliani, tra i massimi esperti di campi elettromagnetici. Biofisico, ex dirigente di INAIL e ISPESL, già docente di bioelettromagnetismo, nella sua lunga carriera ha lavorato presso università, enti ed organizzazioni di livello internazionale. Fu lui a proporre il limite di 6V/m, limite recepito da numerosi Paesi occidentali, tra cui l’Italia.   

Professore, dal 29 aprile sono entrate in vigore le nuove norme che consentono di alzare il limite delle emissioni elettromagnetiche delle antenne per telefonia mobile da 6 V/m a 15 V/m. Secondo il governo, l’innalzamento migliorerà la copertura e la velocità delle reti: è davvero così?

“No, è vero il contrario. La motivazione reale è che se non si fosse eliminato il limite dei 6V/m ci sarebbe stata una spesa ulteriore di 4 miliardi, ma solo per i gestori TIM, Vodafone e 3G. Per questi ultimi, infatti, è conveniente aggiungere un’antenna 5G a un’antenna radio base già esistente. Rifare daccapo una stazione sarebbe molto oneroso: aggiungere invece un bussolotto a un traliccio esistente costa pochissimo. Questo tipo di investimento, cioè l’aggiunta delle antenne 5G, non è coerente con la geometria della rete esistente, che corrisponde a quella di una rete 3G. Il 5G è una trasmissione multipoint: segue l’utente, al quale vengono associate altre 63 antenne, in grado di servirlo. Tuttavia, utilizzare una geometria fissa anziché dinamica (come quella del 5G), significa sotto utilizzare il 5G. Tale tecnologia è stata introdotta, di fatto, per vendere nuovi cellulari. Il regalo dell’innalzamento dei limiti era già stato confezionato da Monti, il quale lasciò sì invariati i limiti, ma modificò la misurazione dei campi elettromagnetici, passando dai 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico alla media di 24 ore: si trattò di uno stratagemma per innalzare ugualmente questi limiti, senza dichiararlo esplicitamente. L’aumento da 6V/m a 15V/m consente in verità ai gestori di non investire o comunque di investire pochissimo per la creazione della rete 5G, che è fra l’altro insufficiente. Ma c’è di più…”.

Dica.

“Diversamente da ciò che ha affermato il Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, l’innalzamento dei limiti non giova all’economia italiana, ma causa un danno alle società di manutenzione e installatori. L’Italia non occupa più un ruolo economico nei servizi wireless, se non quello di assistere le attività finanziarie a livello hardware, per garantire tali servizi. La parte industriale viene infatti affidata dalle compagnie alle singole società e ai vari installatori. Perciò, a chi giova il risparmio di 4 miliardi? Questi soldi vengono rimessi sul mercato italiano oppure consentono un risparmio solo alle compagnie, ormai quasi tutte estere? La verità è che si tratta di denaro sottratto alla manifattura italiana: è un regalo alle multinazionali, in danno del made in Italy”.

Alcuni ne fanno una questione di progresso tecnologico, sostenendo che i possibili danni alla salute non sono fondati…

“Ed è la seconda questione. Al di là di ciò che pensa il Ministro Urso, la pericolosità dei campi elettromagnetici non si manifesta nel breve termine: forse il Ministro si attenderebbe che le persone cadessero in terra come birilli, per riconoscere il rischio. Un po’ come per i danni causati dal tabacco: il professor Maltoni (oncologo di fama mondiale, fra i pionieri degli studi sulla cancerogenesi ambientale e industriale, ndr) ripeteva che, in assenza dei grandi fumatori, non si sarebbero notate le conseguenze del fumo nel lungo periodo. Per quanto riguarda l’esposizione alle onde elettromagnetiche, lo IARC rivide gli studi e ne fece oggetto di analisi comparate nel 2011, sostenendo il potenziale cancerogeno per l’uomo. Tuttavia, nelle motivazioni addotte nel 2013 (pubblicate in una monografia), a Lione, lo IARC non ravvisò elementi in grado di sostenere il nesso causale. L’aspetto interessante è che, secondo lo IARC, la classificazione del potenziale cancerogeno avrebbe potuto essere più severa se fossero stati condotti studi clinici sull’uomo o in vivo. Ovviamente i primi non si sarebbero mai potuti eseguire, per questioni etiche, mentre i secondi rivelarono risultati di estrema importanza. Nel 2018 il National Toxicology Program (NTP) pubblicò i rapporti finali sul rischio cancerogeno correlato all’uso dei cellulari delle reti 2G e 3G, confermando gli esiti dello studio in vivo (costato 25 milioni di dollari) del 2017. Vennero esposti ai campi elettromagnetici 4500 giovani ratti, i quali svilupparono un’elevata percentuale di tumori. In particolare, vi furono delle ‘chiare evidenze’ (clear evidence) di tumori cardiaci, di shwannomi e di ‘evidenze probabili’ (some evidence) di gliomi, glioblastomi e neurinomi craniali, sia del nervo trigemino che dell’acustico. Lo IARC non si espresse riguardo ai tumori cardiaci semplicemente perché gli studi epidemiologici, al tempo, non erano ancora così corposi. Infine, nel 2018, fu pubblicato lo studio italiano del ‘Ramazzini’ sul 2G”.

E quali furono i risultati di questo studio?

“Vennero esposti ai campi elettromagnetici 2450 ratti della stessa specie di quelli dello studio dell’NTP. Gli animali, che subirono le onde di 50V/m in campo lontano per tutta la loro vita, svilupparono un maggior numero di tumori cardiaci. Nel 2018 avvenne l’assesment, cioè i rappresentanti del mondo accademico e dei vari istituti convennero sulla classificazione dell’NTP, che poi corrisponde a quella dello IARC. Nonostante la quantità e la qualità di studi sulla materia, la FDA (Food and Drug Administration, ndr) e la FCC (Federal Communications Commission, ndr) sostennero che le prove sulla pericolosità dei campi elettromagnetici non fossero esaustive, in quanto le sperimentazioni riguardavano solo il modello animale. Ed è del 2019 un Quaderno edito dall’ISS che dileggia i grandi studi sulla pericolosità dei campi elettromagnetici”.

Tuttavia, le linee guida dell’ICNIRP (International Commission on Non-lonizing Radiation Protection) considerano sicuro un livello di emissione fino a 61 V/m. Perché, allora, il limite di 15 V/m dovrebbe essere fonte di preoccupazione?

“L’ICNIRP è considerato un’autorità soltanto dalla Commissione europea: essa ha conferito l’incarico a questa piccola associazione privata della Baviera di redigere le linee guida per la limitazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici nel tempo. L’incarico venne conferito nel ’97 e il documento venne presentato già un anno dopo!”.

Tagliamo la testa al toro: la tecnologia 5G sarebbe pericolosa a prescindere oppure solo in determinate condizioni? Di solito chi solleva dubbi in questi ambiti viene tacciato di ‘complottismo’…

“Il 5G è una tecnologia come le altre e, di per sé, non è più pericolosa del 4G. Tuttavia, trasmettendo più dati impiega campi elettromagnetici più intensi e per più tempo. Rispetto al 4G cambia leggermente la frequenza, ma stiamo parlando di piccolezze. La differenza è il tempo di latenza: con il 5G la durata del segnale di un messaggio è di 50 millisecondi invece di 100. In pratica i messaggi arrivano prima al destinatario, ma si tratta di un lasso di tempo non percepibile dall’uomo. Quando alcuni sostengono che si possa sfruttare il 5G per la telemedicina, magari in sala operatoria, stanno dicendo delle falsità, perché il tempo di reazione del chirurgo non cambierebbe. Il 5G è nato, in realtà, solo per vendere nuovi cellulari, le cui generazioni durano in media 7 o 8 anni. Bisogna però smetterla di attribuire effetti nefasti solo al 5G. In circolazione si trovano parecchi ‘capi-popolo’, guru e influencer vari che profetizzano l’Apocalisse a causa del 5G, inducendo pure i sindaci a fare sciocchezze. Il 5G non rappresenta un problema: lo sono l’elettromagnetismo in generale e l’innalzamento dei limiti. I tumori, come sostiene anche lo studio del ‘Ramazzini’ sul 2G (la tecnologia più pericolosa di tutte), originano da esposizioni intense e prolungate, addirittura per 10 anni. Gli effetti potranno essere analizzati solo dagli studi epidemiologici comparati, che tuttavia non si faranno mai o che verranno limitati, per via degli enormi interessi in gioco. C’è da sottolineare un altro aspetto…”.

Quale?

“A cavallo della classificazione del potenziale cancerogeno abbiamo avuto numerose sentenze, come quella del 2010 della Corte d’Appello di Brescia, che riconosce il nesso causale del neurinoma del trigemino con l’esposizione alle onde. Nel 2012 la Cassazione diede ragione alla Corte d’Appello di Brescia, affermando che si devono distinguere gli studi degli scienziati indipendenti da quelli finanziati da chi lavora nella telefonia. La Cassazione sottolinea che le tesi delle autorità sanitarie sulla non pericolosità dei campi elettromagnetici non sono attendibili, in quanto i componenti di queste organizzazioni sono in conflitto di interesse. Ci sono state poi altre sentenze a Ivrea, a Torino e due a Firenze”. 

Chi si avvantaggerebbe dall’innalzamento dei limiti, sul piano economico?

“I gestori e le case produttrici dei cellulari. Siamo già arrivati al 5G+: è solo una questione di marketing, per commercializzare nuovi cellulari”.

Negli ultimi mesi, ad esempio, ha suscitato scalpore la notizia dell’acquisizione di NetCo (la rete fissa primaria di TIM) da parte del colosso americano Kkr. Il nostro settore delle telecomunicazioni non parla più italiano?

“Non parla più italiano da tanto tempo. Adesso si è sottratto il controllo della rete fissa a una società italiana, a vantaggio di una società americana. Nel caso ci fosse un ipotetico ribaltamento delle alleanze politiche, in pratica noi Italiani ci ritroveremmo nella situazione di non avere più gli occhi. Non è un comportamento di uno Stato sovrano donare il controllo della rete fissa a una società di un altro Paese. Evidentemente si ipotizza che l’Italia sarà sempre una colonia americana? Ma questo non è previsto dalla nostra Costituzione. C’è stato un esproprio da parte del governo a favore di questa società americana”.

Ritiene che anche altri Paesi seguiranno l’esempio dell’Italia, in fatto di innalzamento dei limiti?

“Sì e sta già accadendo. Più di un Paese ha abboccato a questa operazione di marketing, in Europa”.

Secondo le Sue conoscenze, come si presenta la situazione in Alto Adige e quali interventi potrebbe adottare la Provincia Autonoma?  

“Come dicevo, il problema non è solo il 5G ma la presenza delle onde elettromagnetiche in generale. Che il treno di onde provenga da un’antenna 4G piuttosto che da una 5G cambia poco. Nel decreto legge del 23 marzo 2024 (il cosiddetto decreto ‘Concorrenza’), il Ministro Urso ha dapprima riscritto le leggi della scienza, asserendo (in barba a migliaia di studi e di evidenze scientifiche) che l’innalzamento dei limiti non causerà danni alla salute; poi ha riscritto quelle della fisica, specificando come devono essere fatte le misure per ogni nuovo impianto, in netta contraddizione con l’articolo 44 del codice delle comunicazioni elettroniche. Comunque, voi in Alto Adige potreste fare parecchie cose…”.

Tipo?

“Essendo Provincia Autonoma, le leggi provinciali non possono essere impugnate dallo Stato. Trento intraprese una via del genere, attraverso la legge provinciale 65 del 1997: l’articolo 10 aveva varato un regolamento in base al quale i limiti di esposizione non dovevano superare i 3V/m, che scendevano a 2V/m nelle vicinanze di asili, scuole e luoghi sensibili. La legge entrò in vigore nel 1999 e la Corte disse che le Regioni potevano adottare limiti più bassi, qualora sussistessero condizioni di pericolo. Successivamente fece la stessa cosa il Comune di Mirano, in Veneto e nel 2003 altre Regioni provarono, attraverso leggi proprie, a ridurre i limiti da 6V/m a 3V/m. Tuttavia la Corte, in questi casi, stabilì che il Dpcm dell’8 luglio 2003 fosse sufficiente e che si dovesse rispettare il limite di 6V/m. Ma la Corte non poté annullare la legge di Trento, in quanto emanata da una Provincia Autonoma. Proprio per questo le Province Autonome, come l’Alto Adige, sarebbero le uniche a poter intervenire: è una questione di volontà politica”.