Vaccini a mRNA: “vaccini” o “farmaci”? Il punto di vista di due farmacologi e le implicazioni per la valutazione di questi prodotti

Il ruolo della proteina Spike e le motivazioni per cui gli attuali prodotti a mRNA sarebbero veri e propri farmaci, anziché vaccini convenzionali costituiscono le tematiche, ancora oggi tabù, approfondite dai professori Marco Cosentino (medico farmacologo, dottore di ricerca in Farmacologia e Tossicologia, nonché professore ordinario di Farmacologia presso la Scuola di Medicina dell’Università dell’Insubria, dove dirige il Centro di ricerche in Farmacologia Medica) e Franca Marino (biologa con specializzazione in Farmacologia, professore associato presso il dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università dell’Insubria), in due lavori distinti. Nel primo (The spike hypothesis in vaccine-induced adverse effects: questions and answers), pubblicato sull’autorevole rivista Trends in Molecular Medicine, i due docenti hanno risposto agli autori di un’accurata revisione della letteratura sul ruolo della proteina Spike vaccinale negli effetti avversi da vaccini COVID-19. Nel secondo (Understanding the pharmacology of COVID-19 mRNA vaccines: playing dice with the spike?), uscito sul prestigioso International Journal of Molecular Sciences, i ricercatori descrivono la farmacologia dei vaccini a mRNA, giungendo alla conclusione che essi andrebbero considerati alla stregua di prodotti medicinali. Non si tratta né di una sottigliezza, né di una distinzione che appassioni solo gli addetti ai lavori. La differenza è sostanziale: rispetto ai vaccini tradizionali, infatti, per i farmaci si applicano procedure profondamente diverse, sia in fase di sviluppo preclinico e clinico, sia in fase di sorveglianza della sicurezza post-commercializzazione. La pubblicazione dell’International Journal of Molecular Sciences potrebbe quindi cambiare l’approccio nei confronti della vaccinazione contro il COVID-19. La questione emerge a pochi giorni di distanza dal controverso via libera dell’EMA (European Medicines Agency, l’Agenzia europea per i medicinali) alla seconda dose booster ed è controverso in quanto l’autorizzazione dei vaccini per le varianti BA.4 e BA.5 è stata “raccomandata” sulla base della precedente autorizzazione per le varianti BA.1 e BA.2, che tuttavia non sembra ancora reperibile. I professori argomentano la loro tesi partendo dall’assunto che i vaccini anti-Covid non contengono antigeni (caratteristica tipica dei vaccini convenzionali), ma un mRNA attivo della proteina SARS-CoV2, che rappresenta allo stesso tempo un principio attivo e un profarmaco, cioè una molecola biologicamente inattiva: una volta introdotta nell’organismo, però, quest’ultima provoca, a livello intracellulare, la produzione endogena della proteina, che viene quindi attivata. Le implicazioni di farmacodinamica, farmacocinetica, le valutazioni cliniche e di post-marketing sono perciò completamente diverse rispetto a quelle dei vaccini tradizionali. Qual è, inoltre, il ruolo della proteina Spike vaccinale in relazione agli effetti avversi? I vaccini a mRNA (BioNTech/Pfizer BNT162b2 e Moderna mRNA-1273) erano stati presentati fin dall’inizio come prodotti a sicurezza intrinseca, in quanto si riteneva che, analogamente ai vaccini convenzionali, la maggior parte del prodotto somministrato rimanesse nella sede dell’inoculazione. La teoria è stata smentita dai fatti. Da diverso tempo, infatti, c’è chi si interroga sulla biodistribuzione sistemica della proteina Spike vaccinale: in quali organi si deposita? Per quanto tempo? Se prodotta in eccesso può causare danni? Se sì, di quale entità? La distinzione tra “farmaci” e “vaccini” è rilevante anche ai fini della farmacovigilanza, poiché i criteri adottati nei due casi sono differenti. “Al di là della sottosegnalazione di sospetti effetti avversi, fenomeno noto in farmacovigilanza, ma che per i vaccini COVID-19 potrebbe verificarsi a livelli che non hanno precedenti” -osserva Marco Cosentino- “per i prodotti definiti ‘vaccini’ si applicano criteri estremamente restrittivi che portano a escludere il nesso causale nella maggior parte dei casi”. Secondo Cosentino i punti critici sono tre: la finestra temporale ristretta (per AIFA oltre le due settimane non c’è più nesso), l’assenza di altre possibili cause (ad esempio, una miocardite post-vaccino in un soggetto che ha già avuto in passato una miocardite o che ha fatto il COVID-19 difficilmente sarà imputata al vaccino), e l’esistenza di precedenti segnalazioni nella letteratura medica e scientifica. “Pochi ma significativi studi indicano che la rimozione di questi vincoli rivela un quadro ancor più preoccupante dell’attuale: una solida ricerca francese mostra come chi si vaccina dopo il COVID-19 ha da 6 a 9 volte più probabilità di miocarditi e chi in passato ha sofferto di questo disturbo ha un rischio aumentato di 150-160 volte. Un piccolo studio thailandese basato sul monitoraggio intensivo e che include anche analisi di laboratorio rivela che in ragazzi tra i 13 e i 18 anni di età disturbi cardiovascolari dopo il vaccino si presentano in un caso su tre e miopericarditi cliniche o subcliniche in oltre il 2% dei casi”. Lo studio di Cosentino e Marino menziona anche l’importante analisi condotta dal gruppo di Peter Doshi sui dati degli studi autorizzativi condotti da Pfizer e Moderna, i cui risultati mostrano che la riduzione del rischio di ospedalizzazione per COVID-19 rispetto al gruppo placebo è di 2,3 (Pfizer) e 6,4 (Moderna) per 10.000 vaccinati, a fronte di un aumento del rischio assoluto di eventi avversi gravi di particolare interesse di 10,1 (Pfizer) e 15,1 (Moderna) per 10.000 vaccinati (la pubblicazione: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0264410X22010283). Al contrario non comprende una più recente analisi realizzata da altrettanto autorevoli ricercatori, la quale -sulla base di dati ufficiali- documenta come nella  fascia di età 18-29 debbano esser vaccinate con richiamo 22.000-30.000 persone precedentemente mai infettatesi per prevenire un singolo ricovero COVID-19, ma nel frattempo tra quelle 22.000-30.000 persone si avranno da 18 a 98 eventi avversi gravi, comprese tra 1,7 e 3 miocarditi (il link: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4206070). Conclude Cosentino: “Nel nostro studio abbiamo evidenziato le insidie di aver considerato finora i vaccini COVID-19 a mRNA solo come vaccini convenzionali e abbiamo indicato le valutazioni precliniche, cliniche e di sicurezza post-marketing che sono più urgenti. I vaccini COVID-19 a mRNA sono in realtà non vaccini convenzionali bensì farmaci, e di conseguenza la loro farmacocinetica e farmacodinamica, ed eventualmente anche la loro farmacogenetica, devono essere adeguatamente caratterizzate, per fornire un solido supporto di conoscenze per il loro uso razionale e mirato, interrompendo così il rischio di “giocare a dadi” con questi prodotti nella convinzione errata che lo stesso vaccino alla stessa dose faccia bene a tutti e che gli effetti avversi si verifichino per caso. Una valutazione corretta, rigorosa e completa dei vaccini COVID-19 a mRNA sarà di fondamentale importanza per rassicurare il pubblico sul loro uso sicuro ed efficace. Diversamente, si rischia di persistere a utilizzare questi prodotti “alla cieca”, e la questione è tanto più preoccupante in quanto – sulla base della loro malintesa classificazione come vaccini – si sta ora procedendo non solo alla loro autorizzazione definitiva bensì all’autorizzazione delle loro versioni ‘aggiornate’ senza più nemmeno valutazioni cliniche di efficacia e sicurezza. Un vero e proprio ‘atto di fede’ che con medicina e scienza non ha nulla a che vedere”.