Curare il Covid a casa, ai primi sintomi, è possibile. Lo sostengono con forza le reti di medici che si occupano del trattamento domiciliare precoce della malattia e lo prova il loro operato sul campo. Ma lo affermano anche i ricercatori che, nell’ultimo anno, si sono distinti nella sperimentazione di farmaci e integratori nella lotta al virus. Risale a pochi giorni fa la notizia del trial clinico canadese sull’esperidina, quale alleato contro il Covid. Trial che avrebbe potuto avere come protagonista l’Italia. A raccontare l’incredibile occasione perduta è il fisico Francesco Meneguzzo, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)-Area di Firenze. Membro dell’Istituto per la BioEconomia (IBE), Meneguzzo lavora per il CNR dalla metà degli anni 90, inizialmente nel campo dell’atmosfera e del clima, più recentemente delle tecnologie verdi per l’estrazione di composti bioattivi da prodotti naturali.
Dottor Meneguzzo, per cominciare: cos’è l’esperidina?
“L’esperidina è un flavonoide, cioè una molecola naturale, che può essere estratta facilmente dalle bucce di agrumi, in particolare arance, ed è disponibile da anni in numerosi integratori anche di costo contenuto. I ricercatori canadesi dell’Istituto di Cardiologia dell’Università di Montréal stanno sperimentando clinicamente i benefici dell’esperidina contro il Covid. Si tratta di uno studio eseguito con tutti i crismi, in doppio cieco: a un gruppo di partecipanti viene somministrata la molecola, all’altro un placebo (i dettagli della prova clinica: https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04715932). Peccato, perché ad avere illustrato le proprietà benefiche dell’esperidina, potenzialmente proprio rispetto al contrasto del Covid-19, eravamo stati proprio noi del CNR, insieme alla collega IBE Federica Zabini e ai colleghi di un altro Istituto di Palermo, Mario Pagliaro e Rosaria Ciriminna, in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Processes, a maggio 2020 (per approfondire: https://www.mdpi.com/2227-9717/8/5/549). Nell’ultimo anno le evidenze scientifiche sono ancora aumentate in tutto il mondo, fino a un articolo di questi giorni prodotto da ricercatori indiani, che hanno sostenuto le capacità antivirali della molecola”.
A quali conclusioni sono giunti?
“I ricercatori indiani hanno studiato le proprietà benefiche dei flavonoidi: tali benefici sono riportati dalla letteratura scientifica. Gli studiosi hanno individuato nell’esperidina delle proprietà antivirali straordinarie, superiori a quelle presenti nei farmaci Remdesivir e Idrossiclorochina, anch’essi utilizzati contro il Covid. Studi precedenti ne avevano stabilito la superiorità anche rispetto a ulteriori farmaci, tra cui il Lopinavir. L’esperidina ha in particolare la capacità di legarsi alla proteina “S” del virus, a differenza della quercetina, altro flavonoide, che si lega maggiormente ai recettori umani: le due molecole naturali svolgono quindi una funzione complementare. Noi del CNR eravamo andati addirittura oltre, sostenendo che l’esperidina potesse avere non solo un effetto curativo, ma anche preventivo, ruolo che ora è sostenuto pure da altri ricercatori. Nella letteratura scientifica sono riportate le evidenze dell’esperidina, che svolge tra l’altro un ruolo vasoprotettivo e neuroprotettivo: in combinazione con la naringina, secondo flavonoide più abbondante nelle bucce delle arance, può produrre effetti immunomodulanti, contribuendo a mantenere alta la risposta immunitaria in prima fase di Covid e, successivamente, a ridurre la tempesta di citochine, responsabile della grave infiammazione nei malati Covid”.
Ce lo spieghi…
“L’esperidina ha un limite: quello della biodisponibilità relativamente scarsa, e ciò era stato sottolineato sia dai ricercatori indiani, con la loro pubblicazione sulla rivista Heliyon, sia ancora prima dal nostro gruppo del CNR. A questo punto entra in gioco la pectina, contenuta nella parte bianca della buccia dell’arancia. La pectina è un polimero naturale, avente funzione prebiotica. Insieme al collega Mario Pagliaro, del CNR di Palermo, abbiamo proposto che, se coniugata con l’esperidina e gli altri flavonoidi delle bucce di agrumi e gli oli essenziali, la pectina – da noi denominata ‘IntegroPectin’ – potesse potenziare la biodisponibilità dell’esperidina, migliorandone notevolmente l’assorbimento da parte dell’organismo. Il metodo da noi utilizzato era e rimane il più verde ed efficiente: quello della cavitazione idrodinamica, che consente l’estrazione delle molecole utilizzando solo acqua come solvente. Purtroppo, la domanda di finanziamento del nostro studio clinico, denominato CitrusCOV (capofila l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi), non venne accolta dalla Commissione di Valutazione (tra i dieci componenti della Commissione c’era anche il prof. Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova, ndr). Il progetto, presentato il 2 luglio 2020, si fermò a tre punti dalla finanziabilità”.
Perché?
“La Commissione ritenne, in particolare, che non sarebbe stato economicamente sostenibile, nonostante l’esperidina costi poco e i relativi integratori si vendano come il pane. Il principal investigator dello studio canadese in corso, Jocelyn Dupuis, ha dichiarato a Today24 che, sebbene il potenziale dell’esperidina fosse noto fin dalla primavera 2020, ha dovuto lottare molti mesi per ottenere i fondi. In base all’analisi della prima letteratura scientifica sul Covid, noi avevamo documentato la potenziale efficacia dell’esperidina già nel marzo 2019: il problema è che nessuno è intenzionato a finanziare studi clinici su una molecola naturale che non può essere brevettabile, nemmeno quando si tratta di investire in uno studio di poche centinaia di migliaia di euro. Se la sperimentazione clinica canadese confermerà i risultati ottenuti durante le simulazioni, il nostro rammarico sarà enorme, almeno pari alla soddisfazione, in quanto dimostrerebbe che avremmo potuto contenere i danni causati dal Covid, sia in termini di morti, sia di ospedalizzazioni”.
Gli integratori possono costituire un’arma in più contro il Covid e le malattie in generale?
“Abbiamo già visto quanto sia utile l’esperidina per rinforzare il nostro sistema immunitario. Sull’esperidina sono state realizzate simulazioni al computer avanzatissime, per dimostrarne efficacia e fattibilità. Mancano tuttavia le prove cliniche, poiché è difficilissimo ottenere il finanziamento di questi progetti. In Turchia, ad esempio, è stata sperimentata clinicamente la quercetina su un gruppo di medici sani, con risultati incredibili: la differenza di incidenza dell’infezione da Covid tra i due gruppi, trattati con esperidina e con un placebo, era significativa oltre il 99%. Sappiamo inoltre che la vitamina C, oltre a favorire l’azione della quercetina, rappresenta una difesa di prima linea, in quanto protegge i flavonoidi dalla polifenolossidasi, cioè dall’ossidazione. Dalla medicina cinese ci giungono notizie, validate dalla letteratura scientifica, che pure alcuni decotti e prodotti sarebbero efficaci contro il Covid. Tra questi il Qingfei Paidu, oggetto di importanti prove cliniche e che probabilmente non per caso include proprio esperidina e quercetina”.
Quali sono, a questo punto, i limiti della ricerca italiana?
“Premessa: in ambito farmacologico la ricerca italiana è tra le migliori del mondo, sia per quanto concerne il settore pubblico, sia per quello privato. Inoltre la ricerca italiana primeggia in relazione al Pil investito, grazie alla qualità e alla grande capacità di lavoro e, non meno, di adattamento, dei nostri ricercatori. Per fare un esempio, noi siamo andati avanti con nostre risorse, grazie agli splendidi colleghi del CNR e dell’Università di Palermo, con la ricerca anche su estratti dalle bucce di altri agrumi oltre alle arance (limone e pompelmo), scoprendo per la ‘IntegroPectin” importanti attività antiossidanti, antibiotiche e neuroprotettive, e non è finita qui. Il problema è che si investe nella ricerca solo l’1% del Pil, quando la media europea è di oltre il 2%. La Corea del Sud investe addirittura il 4%: sotto questo aspetto siamo tra gli ultimi Paesi dell’Ocse”.