Almeno una volta è capitato a tutti di cercare sul web come si scrive un certo piatto.
E avete scoperto che la sua grafia era ben lungi dalla trascrizione fonetica, perché, ancora una volta, l’avete digitata nel modo in cui si dice. Dall’antipasto al dolce, non c’è termine che il motore di ricerca non si affretti a correggere, spesso indicandone la scrittura corretta. Iniziamo con un mio cruccio: Se volete mangiare dei bucatini saranno proposti alla “Matriciana”, scordandosi che l’origine della ricetta con guanciale e pomodoro è di Amatrice, ridente cittadina della provincia di Rieti, ed il nome giusto è quindi “amatriciana”.
Dalla Francia arriva l’uovo à la coque, propriamente al guscio, che la Treccani definisce come “di uovo tenuto per pochi minuti in acqua in ebollizione in modo che l’albume si coaguli leggermente”. Lo abbiamo nel tempo italianizzato come alla coque, e già così saremmo passibili di una ammenda, ma siamo riusciti a fare molto di peggio: non è difficile, infatti, imbattersi in qualche ricerca “lo scrivo come lo dico”: ed ecco che improvvisamente diventa l’uovo alla cok o alla coc.
Poi sempre dalla Francia prendiamo i vol-au-vent (letteralmente volo al vento, data la leggerezza della pasta). Non è raro che questi si trasformino immediatamente in voulevant o addirittura in volovàn, cioè come lo dicevano Totò e Peppino: noions volevam savuàr…
Un po’ meno lontano, ma sempre digitato in maniera erronea è il viteltonné. Scritto così, tutto attaccato, come fosse una nuova specie, mezza bovina, mezza adriatica. Il vitel tonné – sì, è questa la dicitura corretta – non è francese, ma tutto italiano e di origine piemontese. Tonné (o tonnà) indica la presenza – prima soltanto metaforica, poi fisica grazie all’Artusi – del tonno nella preparazione.
La Francia non smette di ispirarci, soprattutto negli strafalcioni. Avete mai cercato la tartaten? Sicuramente sì. E l’avete trovata? Certamente, ma sempre e solo grazie al correttore automatico. Che vi ha suggerito la giusta tarte tatin, la torta delle sorelle Tatin, nata – anche lei – da un errore, tipica della cucina francese e celebre per la sua preparazione capovolta.
Un’altra parola che sicuramente continuiamo a cercare sbagliando è legata al Medio Oriente. Per alzata di mano, in quanti hanno almeno una volta digitato felaffel? Le polpette di legumi, speziate e fritte, così facili da preparare sono in realtà falafel, anzi: falāfil (falāfel), un alimento che sostituiva la carne nei giorni del digiuno dei copti egiziani, che oggi possiamo servire come finger food insieme a una salsa allo yogurt. Oppure accompagnandolo con dell’hummus.
L’hummus, certamente, che per qualcuno nelle ricerche diventa humus, cioè il più scolastico tra i componenti chimici del terreno, retaggio degli insegnamenti elementari. Quello gastronomico per nostra fortuna ben si discosta dall’odore del terriccio fertile, essendo una preparazione a base di ceci, tahina e succo di limone. È ottimo come salsa d’accompagnamento, con pane, cracker (non crecker) o, appunto, i falafel. L’importante, però, è cercarne la ricetta scrivendolo con due m, perché, in caso contrario, vi ritrovereste soltanto a render felici le vostre piante.
Infine, non certo da ultimo, un suggerimento che per quanto ovvio possa sembrare è bene comunque tenere a mente: non esiste l’avogado. Il frutto tropicale, che si chiama avocado con la c, sta certamente bene con il salmone, è fondamentale nel guacamole, è ottimo condito perfino con lo zucchero. Ma non è decisamente un esperto dell’attività forense.
Quando si parla di cozze tutti pensano a una boule piena di molluschi fumanti. Qualcuno preferisce l’impepata (come vuole la tradizione napoletana), altri pensano al sotè di cozze o vongole. Ma com’è possibile che nel vostro ristorante di pesce preferito non l’abbiate trovato in menu? In molti scrivono soutè, ma per la verità i francofoni scrivono sautè di cozze, perché si tratta infatti del verbo sauter al participio passato.
Non parliamo dei würstel [ˈvʏɐ̯stəl]) che in Alto Adige è un termine utilizzato per riferirsi genericamente agli insaccati parzialmente bolliti e affumicati. Ci crederete? su un menu poco lontano da qui ho letto: vustel. Senza dare spiegazioni né una smorfia sul viso, gentilmente, sono immediatamente uscito dal locale.