Confitto Israele-Palestina: le manifestazioni pro-Palestina e le loro conseguenze

Il 29 ottobre si è potuti assistere, in tutta Europa, a manifestazioni pro-Palestina per il conflitto in Medio Oriente. A Marsiglia, in Francia, hanno sfilato in 2000; a Roma, nella capitale, i partecipanti sfioravano i 20.000, mentre in Inghilterra, a Londra, erano in 100.000 a manifestare. Tutte nel nome della “pace”, anche se, visti i video che circolano sul web, non proprio in modo pacifico.

Quando a Roma i manifestanti sono passati vicino alla FAO, nei pressi di Circo Massimo, uno di essi ha avuto l’idea di strappare, tra tutte le bandiere esposte, quella di Israele e di “pestarla” pubblicamente una volta presa. Un atto di un immenso valore simbolico, oltre che disprezzante. E tale atto dovrebbe costituire una “manifestazione pacifica”? Alcuni diranno che sarà stato un caso unico; che fosse solo quell’individuo lì, immortalato nel video, che aveva la propensione di strapparla. E chi lo applaudiva, non era forse complice di questo atto morboso ed inadeguato?

Le conseguenze di queste manifestazioni si concretizzano nell’aumento di atti antisemiti in tutto il mondo (per esempio, in Francia, 2500 tra tag, lettere e minacce) o in forma più violenta. L’episodio accaduto in Daghistan, in Russia, dove decine di individui hanno fatto irruzione nell’aeroporto in cerca dell’aereo proveniente da Tel Aviv, ne rappresenta un ulteriore esempio. Un assalto collettivo organizzato precedentemente su Telegram a scapito dei civili ebrei a bordo. Ma chiederci il senso di questi atti è importante tanto quanto lo svolgimento dell’atto in sé. In che modo attaccare i civili ebrei all’estero aiuterebbe a calmare le acque nel conflitto israelo-palestinese? Qual è il senso, se non alimentare ulteriormente l’odio verso un popolo?

Se manifestiamo, dobbiamo imperativamente e categoricamente manifestare per tutte le vittime, e non soltanto per alcune. Questo, naturalmente, solo se ci sta a cuore la vera pace. Le immagini dei bambini, delle donne e dei civili palestinesi morti e distesi supini che vediamo ci fanno venire la pelle d’oca, ci inorridiscono, ci aberrano. Di altrettanto agghiacciante impatto sono le immagini dei 260 ragazzi israeliani massacrati al rave party, vittime dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ma questo è il principio di equalità: o vale per tutti, o non vale per nessuno, soprattutto se si tratta di civili, che nulla hanno a che fare con le scelte dei propri governi di invocare una guerra.

La guerra in Ucraina, tutt’ora in corso da febbraio del 2022, mostra la negligenza umana nel risolvere conflitti armati. Ma pare che la vicenda ucraina-russa sia ormai acqua passata; pare che non ci importi più nulla, che la guerra la diamo per scontata, che sia divenuta consuetudine. Allora è utile domandarci come proseguirà questo conflitto sul nuovo fronte. Farà la stessa fine dell’Ucraina, dove per “fine” non si intende la fine della guerra, ma la fine del nostro interesse per una pace sincera?

Nella guerra non c’è un vincitore. Perdiamo tutti. E come per la compassione che proviamo per le vittime, dovremmo, in modo altrettanto coerente, condannare con fermezza la violenza come soluzione, estirparla definitivamente da questo mondo.