“Senza investimenti nella ricerca delle cure primarie non è possibile contrastare efficacemente il Covid-19”. A lanciare l’allarme è la ricercatrice Eloise Mastrangelo. Chimico, con un dottorato di ricerca in “Molecular and Cellular Biology” presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano, la dottoressa Mastrangelo lavora all’Istituto di Biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Milano. Recentemente ha avviato, unitamente ai suoi colleghi, il progetto #FarmaCovid, finalizzato a reperire risorse per scoprire terapie efficaci contro il Covid. I suoi studi sui farmaci contro i virus a RNA e sulle proprietà antivirali dell’ivermectina sono valsi alla scienziata premi e riconoscimenti in ambito internazionale. Oggi è prima ricercatrice del CNR.
Dottoressa Mastrangelo, perché è importante investire nella ricerca sulle cure contro il Covid, oltre che sui vaccini?
“Con la comparsa del Sars-CoV-2 l’UE e gli Stati membri hanno destinato ingenti risorse per combattere la pandemia sul fronte sanitario e della ricerca medica per lo sviluppo di vaccini, con un sostegno senza precedenti nei confronti delle aziende farmaceutiche. Vaccini che ci proteggono dall’infezione. Tuttavia non abbiamo ancora farmaci antivirali altamente efficaci che possano prevenire l’infezione o arrestare la progressione del virus. In pratica, non ci sono cure validate per i malati”.
Quale direzione ha intrapreso la ricerca?
“In questo contesto, nell’immediato, la ricerca ha riproposto alcuni farmaci già usati sull’uomo o dotati di proprietà farmacologiche note per contrastare il più velocemente possibile la pandemia (idrossiclorochina, remdesivir, lopinavir). Sono stati fatti dei tentativi, ma è difficile dimostrare in tempi così ristretti che questi farmaci siano specifici per questo particolare virus. E, comunque, non sempre sono risolutivi. Prima di disporre di un farmaco specifico per una determinata malattia, infatti, sono necessari (se tutto va bene) dai 7 ai 10 anni, fra ricerca pre-clinica dove si individua la molecola contro quella determinata malattia (ricerca che dura fino a 3-4 anni), studi clinici per sperimentare la molecola su un numero crescente e diversificato di pazienti (fino a 6 anni) e varie autorizzazioni (1-2 anni). In generale, dunque, è chiaro che investire nella ricerca di cure è fondamentale per non farsi trovare impreparati di fronte a catastrofi come quella che stiamo affrontando. Non è possibile contrastare efficacemente il Covid-19 senza investimenti nella ricerca delle cure primarie. Un finanziamento adeguato potrebbe, ovviamente, velocizzare i tempi per individuare la cura giusta. Proprio come è stato fatto per i vaccini”.
Perché è nato il progetto #FarmaCovid e quali sono le sue finalità?
“Negli ultimi dieci anni, i virus a RNA emergenti hanno sollevato l’attenzione a livello mondiale. I Coronavirus preoccupano particolarmente, a causa di elevati tassi di mortalità, di mancanza di terapie e loro abilità ad accendere rapidamente focolai di infezione anche attraverso i confini geografici. Il progetto #FarmaCovid è nato con la diffusone del SARS-CoV-2, da una collaborazione tra i ricercatori dell’Istituto di Biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibf, https://www.ibf.cnr.it/) di Milano, impegnati da anni nella ricerca di anti-virali, e il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB, https://www.icgeb.org/molecular-virology/) di Trieste, che ha sequenziato e caratterizzato il genoma virale isolato tra i primi malati italiani di Covid-19. Il progetto si propone di ottenere un farmaco efficace contro Covid-19 e altri Coronavirus emergenti. Inoltre, utilizzando metodi di “intelligenza artificiale”, stiamo tentando di predire le zone del virus più soggette a mutazioni per proporre nuovi farmaci in risposta a future emergenze”.
Unitamente al Suo collega dell’Istituto di Biofisica del CNR di Milano, il dottor Mario Milani, sta indagando già dal 2005 come inibire il sistema replicativo dei virus a RNA attraverso studi strutturali e funzionali delle proteine coinvolte nella replicazione virale. Ci può illustrare i risultati delle Sue ricerche?
“Fin dal 2005 ci occupiamo dell’identificazione di farmaci contro i virus a RNA. Lo step fondamentale per identificare questi farmaci, nella maggior parte dei casi, consiste nell’individuare il “bersaglio”, ovvero l’elemento su cui intervenire per combattere la malattia. Nel caso dei virus, questi bersagli non sono altro che le proteine che permettono al virus di replicarsi, formando copie di sé stesso, una volta entrato nella cellula ospite. Mediante studi strutturali e computazionali sulle proteine virali scelte come “bersaglio”, passiamo al setaccio un gran numero di sostanze biologiche (migliaia e migliaia) e fra queste individuiamo i migliori candidati, che poi vengono testati in saggi cellulari, così da selezionare quelli in grado di inibire la replicazione dei virus”.
Nel 2009 siete stati i primi ricercatori al mondo a scoprire l’attività antivirale dell’ivermectina: perché questo farmaco rappresenterebbe un’arma importante contro il Covid?
“Seguendo la procedura del “bersaglio” da colpire mediante studi strutturali/computazionali seguiti da studi di inibizione su cellule infettate, abbiamo dimostrato e brevettato, già nel 2009, la capacità dell’ivermectina, noto antiparassitario, di inibire i virus a RNA da noi studiati. Da allora numerosi scienziati hanno studiato l’efficacia dell’ivermectina in diversi virus a RNA, mostrando che, in esperimenti su colture cellulari, il farmaco ha una robusta azione antivirale contro HIV, Zika, Chikungunya e, recentemente, anche contro il virus dell’afta epizootica. Chiaramente l’ivermectina è stata studiata nel giro di pochi mesi dalla diffusione del Covid e, dopo aver dimostrato le sue capacità antivirali sul SARS-CoV-2, è entrata subito in fase di sperimentazione sui pazienti. Attenendomi a quanto riportato su riviste scientifiche peer-reviewed (si parla di centinaia di articoli scientifici revisionati da scienziati esperti) o a quanto discusso nei vari congressi o dibattiti fra comitati costituiti da medici che l’hanno utilizzata direttamente sui loro pazienti, tenderei a pensare che questa molecola rappresenta, accanto alla diffusione dei vaccini, un’arma ulteriore contro il Covid. Sono una sessantina gli studi clinici in diverse parti del mondo che stanno dimostrando come l’ivermectina sia, non solo estremamente efficace nel ridurre la viremia nella fase iniziale dell’infezione, ma anche attiva durante la fase secondaria (la testimonianza del prof. Héctor Carvallo, al nostro giornale: https://www.buongiornosuedtirol.it/2021/04/esclusivo-covid-e-cure-domiciliari-il-prof-hector-carvallo-ivermectina-efficace-e-poco-costosa/)”.
L’ivermectina può essere utilizzata anche a scopo preventivo?
“Ci sono alcuni studi che suggeriscono l’ivermectina anche come profilassi. A questo proposito, i risultati sull’uso dell’ivermectina in Africa sono impressionanti (la pubblicazione: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0924857920304684?via%3Dihub). La bassa frequenza di casi e decessi per virus SARS-CoV-2 in alcuni paesi dell’Africa, in cui l’ivermectina è considerata un farmaco di scelta per varie malattie parassitarie, ha sollevato l’attenzione degli autori che hanno pubblicato un lavoro interessante, denominato “African Enigma” (lo studio: https://colombiamedica.univalle.edu.co/index.php/comedica/article/view/4613). I dati di 19 Paesi che hanno partecipato al Programma africano per il controllo dell’oncocercosi (APOC), sponsorizzato dall’OMS, sono stati confrontati con 35 non-APOC. L’incidenza dei tassi di mortalità e del numero di casi è significativamente inferiore tra i paesi APOC rispetto ai paesi non APOC, suggerendo un potenziale ruolo importante dell’ivermectina nella profilassi”.
Quali sono i possibili effetti collaterali dell’ivermectina?
“Per quanto riguarda i suoi effetti collaterali posso affermare che l’ivermectina è un noto farmaco antiparassitario approvato dalla FDA e che è stato utilizzato con successo per più di quattro decenni per trattare diverse malattie parassitarie. È nella lista dei farmaci essenziali dell’OMS, sono state distribuite 3,7 miliardi di dosi in tutto il mondo e ha vinto il premio Nobel per il suo impatto globale e storico nell’eradicazione delle infezioni parassitarie endemiche in molte parti del mondo. La Front Line COVID-19 Critical Care Alliance lo annovera fra i farmaci conosciuti più sicuri”.
Gli enti regolatori raccomandano di non utilizzare l’ivermectina per la prevenzione o il trattamento di Covid-19 al di fuori degli studi clinici: qual è il Suo parere, al riguardo?
“Attualmente esiste una logica scientifica basata su dati preclinici e clinici che suggeriscono proprietà antivirali e antinfiammatorie dell’ivermectina. Tuttavia, gli enti regolatori che hanno esaminato questi dati, lamentano studi di piccole dimensioni con ulteriori limitazioni, tra cui regimi posologici differenti e ricorso a medicinali concomitanti. Sebbene, secondo gli schemi di questi enti, le evidenze attualmente disponibili non sono sufficienti a supportare l’uso di ivermectina per Covid-19 al di fuori degli studi clinici, il Principio 37 dell’Accordo di Helsinki sulla Ricerca Medica dichiara che “i medici possono ricorrere ad un intervento non provato se a giudizio del medico offre speranza di salvare la vita, ristabilire la salute o alleviare la sofferenza. Tale intervento dovrà successivamente essere oggetto di ricerca”. In tale contesto, pertanto, le raccomandazioni di non utilizzare l’ivermectina di fronte a centinaia di migliaia di malati e morti risultano, a mio parere, un po’ “dissonanti””.
Parliamo di finanziamenti: quanto si investe nella ricerca di una cura contro il Covid? Perché #FarmaCovid ha avviato una raccolta fondi?
“Con la diffusione del Covid è nata (finalmente) la consapevolezza dell’importanza della ricerca di base per affrontare e rispondere a questa e ad eventuali future emergenze pandemiche. Pensiamo alla dichiarazione del nostro Presidente della Repubblica, il quale ha sostenuto che “l’antidoto contro questo virus è la ricerca”. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, non c’è stata nel nostro Paese l’assunzione di misure volte a riconoscere la ricerca come una priorità da finanziare adeguatamente. Tanto è vero che, per ampliare e sostenere il progetto #FarmaCovid, si è resa necessaria una Campagna di Crowdfunding (http://tiny.cc/FarmaCovid). E non è l’unica! Ormai sappiamo che, con la crisi del 2008, ci sono stati tagli alla ricerca, di cui paghiamo ancora le conseguenze. Nel nostro Bel Paese mancano investimenti non solo straordinari, ma ordinari, diretti agli enti e alle università, che sono gli organismi in cui si fa la ricerca di base. E servono procedure di finanziamento trasparenti, regolari e controllate.
Quali altri farmaci potrebbero rivelarsi utili contro il Covid? A che punto sono le vostre ricerche?
“Una parte importante della comunità scientifica sta lavorando sulla messa a punto di terapie valide per contrastare l’infezione da Sars-CoV-2. I dati di diversi farmaci, già esistenti e molto promettenti, vengono continuamente aggiornati nei vari siti web su assistenza e informazione sanitaria. Nel nostro gruppo di ricerca abbiamo individuato alcuni farmaci che mostrano attività antivirale non solo contro il Covid-19, ma anche contro altri coronavirus. Si tratta di ricerche che abbiamo pubblicato su riviste scientifiche internazionali. Adesso stiamo sfruttando queste conoscenze per sviluppare antivirali ottimizzati che siano più efficaci contro SARS-CoV-2, le varianti e i ceppi resistenti ai farmaci, così come nei confronti di altri coronavirus che già esistono o che potrebbero emergere in futuro. Inoltre, ovviamente, continuiamo gli studi in vitro sull’ivermectina per comprendere più approfonditamente i meccanismi di funzionamento a livello molecolare”.
Un’ultima domanda: perché ai vaccini è stata concessa un’autorizzazione condizionata, mentre ai farmaci (come ivermectina) no?
“Non sono in grado di rispondere: mi pongo la stessa domanda anch’io”.
Foto, Eloise Mastrangelo