L’ormai nota e atroce storia del bracciante indiano Satman Singh, immigrato irregolare ed ennesimo lavoratore sfruttato, lasciato morire dissanguato a Latina dopo un incidente sul lavoro proprio dal suo datore di lavoro, ha portato la Presidente del Consiglio a esprimersi di fronte al Parlamento. Parole, purtroppo, forzate, poiché tacere non pareva proprio il caso. I due vice, Salvini alla sua destra e Tajani alla sua sinistra, immobilizzati da un’inerzia pressoché totale, si sono alzati solamente in seguito all’esortazione da parte della stessa Meloni: “Alzateve regà, dai”. Due soggetti refrattari e un atto fatuo, giacché non proveniente dalla propria spontanea volontà.
“L’uomo è nato libero e ovunque è in catene” – scriveva Jean-Jaques Rousseau. Ed è proprio così: liberi si nasce, ma poi si è costretti sottostare alle regole della società, della politica, dei governi: ad attenersi, cioè, a quel patto sociale stipulato tra gli uomini e con il potere. Poiché una libertà totale porterebbe a un’anarchia ingestibile, ciò nonostante, la dignità dell’uomo dovrebbe rimanere inviolabile. Oggidì pare si sia tornati indietro alla dottrina contrattualistica seicentesca di Thomas Hobbes, il quale poneva la proprietà come diritto naturale e, di conseguenza, i proprietari come i soli legittimati ad avere diritti, a potere stipulare un contratto sociale. In tal modo, però, chi non è proprietario non ha nessuna voce nel capitolo, proprio perché non legittimato da quel diritto naturale.
E Satman Singh, proprietario non lo era, anzi. Nulla aveva da offrire se non la sua forza di lavoro. Privo di qualsiasi bene materiale, era obbligato ad accettare misere paghe (3.50 euro all’ora) e a lavorare per 12 ore al giorno. Una concezione arcaica del Seicento, in cui la società era mercantile e i diritti erano assicurati agli unici possessori di beni. Per quanto è triste ammetterlo, Satman era uno “schiavo” moderno, e come scriveva Hobbes: “È la proprietà il vero parametro della cittadinanza”, e aggiunge che gli schiavi, non facendo parte della società civile, hanno “perduto i loro beni e non sono, dunque, qualificati a godere di proprietà alcuna”. Solo con Rousseau, padre del costituzionalismo moderno, si è arrivati a denunciare l’ineguaglianza originata proprio dalla proprietà. I cittadini, resosi conto dell’ingiustizia che fino ad allora avevano concepito come un diritto naturale, si sono uniti contro il potere (i poveri per avere più diritti, e i ricchi per salvaguardare i loro beni che avrebbero potuto perdere, dato che i poveri niente avevano da perdere se non la loro libertà individuale), nel nome della razionalità e proponendo un nuovo contratto sociale basato sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla fraternità. Valori supremi, inviolabili, che rinnovano e costituiscono le leggi “naturali”, sigillate poi nella Costituzione.
Rousseau individuò nella società francese di fine Settecento anche un affluente egoismo, una società “dell’amor proprio”, che portò la società stessa e privarsi del sentimento della pietà – che il rivoluzionario indicò come una suprema virtù – la quale ispira a una “ripugnanza innata a vedere soffrire il proprio simile”. Possiamo allora confermare che di Rousseau i due vice non hanno capito proprio niente, vista l’impassibilità che hanno mostrato in Parlamento. Entrambi restii, scettici sul fatto di applaudire o meno, di alzarsi o meno, non hanno mostrato minimamente né pietà per quel che è successo a Satman, e tanto meno che tale pietà, messa in scena solamente nel momento in cui si sono alzati, non fosse affatto innata e spontanea, ma palesemente forzata e fittizia.
Ma cosa ci si aspettava da soggetti che fino all’altro ieri gridavano a squarcia gola “Prima gli italiani”, come se essere nati in un Paese che non in un altro fosse un privilegio. Un Paese che fonda la propria cittadinanza sullo Ius sanguinis, di “eredità sanguigna”. Perché i gruppi sanguigni presenti nel mondo sono 9, e non 8 come si pensava: 0+, 0-, A+, A-, B+, B-, AB+, AB- e quello specifico italiano, che si differenzia da tutti gli altri. Un Paese che divide gli esseri umani in classe A e in classe B, in privilegiati e svantaggiati, e che non è nemmeno in grado di tenere uniti i propri consociati, che ritengono “naturali”, italiani puri.
Se proprio si mostrano carenti dell’intelletto, almeno si sperava che fossero dotati di umanità. Almeno un briciolo, il giusto; almeno in apparenza. Ma no. Allora appare in tutto il suo splendore la farsa di questo teatrino nel nome della pietà nel vedere il prossimo soffrire, fino a perdere la sua vita. Ormai Satman, da morto, con queste paroline non se ne fa più nulla. Prendetevi gli applausi ma siate fedeli a voi: tanto, un morto in più o in meno, tanto più se è un immigrato, non fa la differenza.