Quante vite ha il talento stellare di un artista? Quante riverberi, quante rifrazioni, quante assonanze espande la parabola esistenziale di un mito della musica nelle sensibilità di noi tutti?

A fare i conti con queste possibilità ci ha pensato Kind of Miles, l’ultimo spettacolo proposto dal Teatro Stabile di Bolzano ed ispirato alla biografia e alla produzione musicale di Miles Davis.

Nello specifico di questi recenti appuntamenti bolzanini, che hanno segnato sempre il tutto esaurito, ci ha pensato Paolo Fresu a raccontarci come frammenti delle loro rispettive vite – la sua e quella di Miles Davis – si sono intercettate nei decenni. E lo narra con la sua tromba, con il suo flicorno e le sue parole messe in scena in compagnia di un gruppo di musicisti strepitosi che s’interfacciano tra loro attraverso soluzioni inaspettate.

Il giorno in cui Paolo Fresu viene a conoscenza della morte di Miles Davis si trova a sud della sua isola, la Sardegna, ed è un giorno ancora caldo di fine settembre. Per la precisione è il 28 settembre del ‘91, la giornata è di un calore estivo e il sole è abbagliante. Specifica Fresu, durante il suo racconto scenico, che quel giorno il suo sguardo era rivolto verso l’Africa e tanta Africa ritorna nei suoni e nei ritmi di questo concerto teatrale ai quali si aggiungono richiami pop, punk, funk, popolari e quant’altro. E dove ci puoi ritrovare un’infinità di suggestioni, di ricordi da riconnettere con se stessi.

Miles Davis è un musicista afroamericano jazz, polistrumentista e compositore che è riuscito ad avvicinare al suo genere musicale anche gli spiriti più ostici. Il suo Tutu del 1986 è un disco con dei suoni mai sentiti prima, assolutamente magnetici. Paolo Fresu ci informa su quanto ha lavorato per riuscire a riprodurre la tromba di Miles. Fino a sfiancare l’udito dei vicini o della madre. Senza riuscirci però; almeno così pare.

La copertina di questo Tutu, vescovo sudafricano impegnato in prima persona nella lotta contro l’apartheid, immortala il volto solcato del musicista in un bianco e nero brillante, visionario a firma di Irving Penn.

Da una citazione iniziale di Kind of Miles sappiamo che per Miles (lo si riconosce anche semplicemente per il nome, senza il cognome) la musica deve portarti “oltre” e lo ha fatto senz’altro anche con Bitches Brew, un disco del 1970 che ha portato in studio dei pezzi da Novanta del mondo jazz e con poche indicazioni hanno improvvisato producendo un disco imperdibile, che rinnova la scena musicale e che ascolta tutte le novità del periodo.

Questo disco ha sedotto anche Anne Theresa De Keersmaeker, coreografa belga che per il suo spettacolo dal titolo omonimo ha assegnato un danzatore ad ogni musicista. Per Miles che ne sono due: un interprete alto e bianco dai gesti melanconici a ricordarci la sua anima delle tenebre e un altro più piccolo, di pelle scura e dai movimenti sincopati a ricordarci la parte funky e scanzonata.

Il pubblico regionale ha potuto vedere questo spettacolo ad Oriente Occidente nel 2003 e in questa meravigliosa rappresentazione viene proiettato anche il video del crollo del ponte Tacoma Narrow, un ponte nuovo e bello che nel 1940 è crollato presto per delle vibrazioni sul punto debole della struttura.

La bellezza è una costruzione fragile e delicata ci ricorda la De Keersmaeker e su questa sensazione di bellezza struggente, di suoni evocativi e di desiderio di andare oltre ha costruito le sue architetture emotive lo spettacolo Kind of Miles.

Esemplari, parallele, inimitabile queste architetture sono entrate in senso omeopatico nello spettatore lasciandogli le sue sensazioni da portare a casa.

Grazie al talento di altri interpreti, la vita e il talento di Miles Davis sono tornati ancora una volta a portarci fuori, od oltre, il pantano e le paresi del quotidiano.

Foto, Ferra Fresu Meyer